Stupefacenti, pene da rimodulare dopo la decisione della Corte Costituzionale.

Dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 4 bis del D.L. n. 272/2005 (Legge Fini - Giovanardi - sul punto leggi questo articolo correlato) la Cassazione ha osservato che qualcosa cambia nella determinazione della pena da infliggere.

E' questo quello che emerge dalla sentenza in commento, emessa esaminando il caso di tre imputati, riconosciuti colpevoli dalla Corte d'Appello di Catanzaro prima anche dal GIP del Tribunale di Crotone, per aver coltivato numerose piante di canapa indiana (altezza variabile da 70 a 120 cm.), idonee alla produzione, per l'avanzato stato di infiorescenza e maturazione rilevato dal consulente chimico del p.m., di sostanza stupefacente del tipo marijuana per "migliaia di singole dosi" droganti.





(sentenze cassazione) - Con riferimento alle pene inflitte agli imputati, la Corte territoriale ha ritenuto le stesse eque e commisurate alla offensività del contestato reato, puntualizzando che l'estensione della piantagione, gli esiti delle indagini chimiche e la cospicua quantità di dosi droganti ricavabili non consentono di rimodulare le pene in senso più favorevole agli imputati.

La difesa degli imputati ha invocato l'applicazione della recente sentenza n. 32/2014, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le disposizioni della L. 49/2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, così reintroducendo il previgente regime precettivo e sanzionatorio, imperniato sulla radicale differenza tra droghe c.d. pesanti e droghe c.d. leggere e su un connesso diverso regime punitivo, assai più mite per le sostanze del secondo tipo rispetto a quello stabilito dalla normativa divenuta oggi incostituzionale.

La Cassazione ha precisato che "è evidente che le pene così inflitte non possono più valutarsi assistite da legittimità. In simili casi, infatti, non può che trovare applicazione la più favorevole disciplina (previgente e) oggi nuovamente vigente risultante dalla descritta dinamica successoria delle norme incriminatrici (art. 73 co. 4 L.S.: pena minima due anni di reclusione; art. 73 co. 5 L.S.: pena minima quattro mesi di reclusione). È chiaro che in tali situazioni (e soltanto in esse) il giudice di appello, quale giudice di merito di secondo grado o quale giudice di rinvio, è vincolato (a meno di convalidare un improprio incremento dell'afflittività sostanziale della sanzione) alla rimodulazione della pena, rendendola conforme ai "nuovi" più favorevoli minimi edittali detentivi e altresì pecuniari (se anch'essi definiti nel minimo edittale)".

Pertanto, ha riconosciuto anche nella vicenda in commento che "le due conformi sentenze di merito hanno esplicitamente chiarito di voler assumere a base del calcolo sanzionatorio una pena fedelmente corrispondente alla misura detentiva minima dell'editto allora vigente, pari cioè a sei anni di reclusione (la misura base delle pene pecuniarie inflitte ai due imputati è stata individuata in termini compatibili con la tassonomia punitiva comune alle due serie di sanzioni). Anche per gli imputati diviene, allora, necessaria una rivisitazione correttiva del trattamento punitivo in conformità al più favorevole regime dettato dall'art. 73 co. 4 nel testo in vigore prima della L. 49/2006. Ciò sia per le pene detentive, sia per le pene pecuniarie loro inflitte. Rivisitazione cui non procede questo stesso giudice di legittimità (art. 620, lett. 1, c.p.p.), avuto riguardo alla indeterminata percentuale delle sanzioni pecuniarie individuate dai giudici di merito e alla coeva necessità di rinviare comunque gli atti al giudice a quo per la definizione della pena, detentiva e pecuniaria, da applicarsi.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata in riferimento alla sola misura delle pene inflitte ai tre ricorrenti, rinviandosi gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro (diversa sezione) perché proceda a una loro nuova determinazione, conforme al dettato del vigente art. 73 co. 4 L.S. secondo i criteri in precedenza illustrati. Quanto alle residue censure degli imputati, i ricorsi vanno - per quanto detto - rigettati".